ADUC, "TAP in Salento. Nessuno vieti le contestazioni pacifiche, ma sono necessarie queste contestazioni?"

 "Ogni protesta pacifica è legittima. Chi pensa che sia legittimo usare la forza, la violenza, si pone al di fuori della legittimità, senza possibilità di obiezioni."

 



FIRENZE - "Ogni protesta pacifica è legittima. Chi pensa che sia legittimo usare la forza, la violenza, si pone al di fuori della legittimità, senza possibilità di obiezioni. 


Nelle polemiche dei NoTap, il movimento che si oppone alla costruzione del gasdotto nel Salento, spesso compare la parola “democrazia”, sottintendendo che i cittadini che manifestano sono rappresentanza di una democrazia che viene violata e che TAP stia agendo contro il sentire democratico.


Non è, ovviamente, così.


Nei giorni della morte di Sartori viene facile ricordare che scriveva come si faccia difficoltà definire cosa sia una democrazia, ma che generalmente siamo in grado di dire cosa NON è una democrazia. La mancanza di procedure certe, riconosciute, slegate (almeno nella forma, certo) dalla volontà del potere esecutivo in carica, è caratteristica proprio di regimi autoritari, dove l’esercizio del potere è in mano ad un’oligarchia e si esplicita in modo totalitario. Quindi, un’importante caratteristica di un regime democratico è il riconoscimento e la codificazione di procedure, perché garantiscono la certificabilità dei passaggi e la responsabilità della catena di potere. 


Chi pensa che la democrazia consista nel “si fa quello che dico io”, sia pure che quell’io sia costituito da centinaia di cittadini, sbaglia. Chi pensa che la legge venga piegata ad interessi superiori solo perché non condivide un’opera regolarmente autorizzata, sbaglia. La democrazia è rispetto delle procedure. I diritti dei singoli e delle comunità sono codificati: se si crede che ve ne siano degli ulteriori, bene si fa a rivendicarli, nel rispetto delle regole democratiche (quindi, di nuovo, delle procedure). Non esiste democrazia al di fuori delle procedure, almeno negli stati moderni così come li conosciamo: sembrerà formalismo, ma è semplicemente garanzia che un gruppo di potere, economico come di forza, nel piccolo di una località balneare come nel grosso di un paese, si sostituisca agli organi democraticamente eletti e sovverta le procedure, sostituendo la volontà dei singoli con quella generale. Per i dettagli, vi rimando a Sartori.


Democratico e legittimo quindi criticare TAP e manifestare pacificamente, altrettanto democratico e legittimo è non condividere quelle proteste. O addirittura sposare le ragioni di TAP o sostenere i propri interessi economici (che in Italia è praticamente una bestemmia).


Nelle righe successive non sosterrò le ragioni di TAP, che non mi interessano, ma vorrei trarre un quadro della situazione, con delle osservazioni su ciò che più mi compete. 


La produzione di energia elettrica in Italia (2015) si è attestata a 283 TWh, a fronte di un consumo complessivo di 317 TWh. Produciamo 192 TWh grazie a fonti combustibili fossili, principalmente il gas (60%), rispetto ad un recente passato in cui predominavano petrolio e, soprattutto, carbone. 
Circa 109 TWh sono stati prodotti grazie a fonti di energia rinnovabile: idroelettrico in primis, poi eolico, geotermico, e negli ultimi anni c’è stata l’impennata di fotovoltaico (che ormai rappresenta la terza fonte per energia rinnovabile prodotta) e biomasse.


E il rimanente necessario a coprire il nostro fabbisogno? Lo importiamo, essenzialmente dalla Francia e dalla Svizzera, di origine nucleare soprattutto. L’Italia è il primo paese al mondo per importazione di energia elettrica: produciamo meno di quello di cui abbiamo bisogno. Da notare che importiamo un po’ di più della semplice differenza tra produzione e consumo, ed esportiamo qualcosina di ciò che produciamo: questo perché gli scambi tra paesi vicini possono essere più convenienti rispetto al trasporto di energia verso zone del paese meno infrastrutturate o troppo lontane dagli impianti di produzione.


Attenzione: quando scrivo che “produciamo” energia elettrica significa che trasformiamo combustibili acquistati altrove: il carbone (ne produciamo pochissimo in Sardegna) lo importiamo tramite navi tanto dal nord che dal sud america, dal Sud Africa, Australia, Russia e Cina. Il petrolio proviene da molti paesi per tramite dei tanti oleodotti (ed un po’ per via navale), principalmente paesi dell'est (Russia, Azerbaijan) e nordafrica. Discorso analogo per il gas: tolto un po’ dai paesi nordafricani, qualcosa dal Qatar (GNL, per tramite di navi gasiere), il grosso viene dalla Russia.


Produciamo un pochino di gas (soprattutto offshore) e petrolio (sia offshore che onshore, ad esempio in Basilicata): siamo circa in rapporto 1:10 con quello che importiamo, e parte della produzione nazionale viene esportata (per un discorso analogo a quello scritto sopra: può essere più conveniente esportarlo).


Quindi siamo un paese pressoché esclusivamente dipendente dall’estero per la produzione di energia elettrica e per i combustibili per la locomozione.


Veniamo alla Puglia. La mia regione produce circa 31.000 GWh di elettricità, tra centrali termoelettriche (a Brindisi soprattutto) e fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico. In particolare, quasi il 20% dell’energia rinnovabile prodotta in Italia viene dalla Puglia, grazie soprattutto all’eolico. La Puglia produce da 2 a 3 volte l’energia elettrica che consuma.


Non mi sono mai appartenute le fisime nazional-localistiche: ogni territorio (città, regione, nazione, continente) produce quel che può secondo quel che ha. Non c’è alcun dubbio che il meridione d’Italia sia stato oggetto di uno scellerato piano di industrializzazione statale finalizzato a distorcere l’economia di mercato e sostenere occupazione e consumi a discapito di altre risorse e delle conseguenze ambientali. 


La conseguenze ambientali e per la salute in Puglia sono gravi. E’ così per ogni territorio in cui insistono grossi impianti industriali, è a maggior ragione vero in quelle zone d’Italia dove la politica ha creato la domanda e pianificato l’espansione, derogando al suo ruolo di controllore. Ed in questo giogo occupazionale/inquinante si sono tenuti per decenni i cittadini inermi, spesso inconsapevoli. Non solo in campo energetico: vale per la metallurgia, vale per i prodotti chimici, vale per molte altre industrie che hanno fatto del meridione un po’ la discarica d’Italia (non riguarda SOLO il meridione, ma riguarda soprattutto il meridione).


Anche lo sviluppo delle energie rinnovabili non è stato “green”: a dispetto di una vulgata ambientalista che vuole tutto ciò che è carbon-free bello e salubre, lo sviluppo dell’idroelettrico ha depauperato le risorse dei fiumi, creando danni a pesca ed agricoltura, modificando le falde, riducendo l’apporto di nutrienti a valle. Eolico e fotovoltaico non sono migliori: a queste due fonti, in gran parte a causa degli incentivi fiscali (ancora una volta la politica si sostituisce all’imprenditore), hanno conosciuto uno sviluppo esponenziale in una deregulation de facto. Nella maggior parte del meridione i campi agricoli sono stati convertiti a campi fotovoltaici, con danni alla produzione agricola e al paesaggio; le pale eoliche rappresentano un problema paesaggistico e di disturbo all’avifauna, in particolare se nelle vicinanze delle rotte migratorie (e la Puglia è una ragione importantissima per la convenzione Ramsar sulle aree umide di sosta delle specie migratorie). Sono un grande fautore delle energie rinnovabili e le cose potevano ovviamente essere fatte bene: ovviamente, da italiani le abbiamo fatte male. Molto male.


Manca un approccio strategico, sia nazionale che regionale, mancano procedure di valutazione che siano realmente efficaci e vincolanti, mancano strumenti di coordinazione locale, mancano strumenti di coinvolgimento dei cittadini. O meglio, mi correggo: tutti questi strumenti sulla carta esistono, ed anzi sono innumerevoli, ma spesso inefficaci ed aggirabili.


Detto tutto questo, davvero non riesco a concepire il fatto che si ricorra a costrutti autarchici: i pugliesi che non vogliono produrre più energia si scontreranno con i romagnoli che non vorranno esportare salami? I lombardi che faranno, cacceranno tutti i loro ingegneri e camerieri pugliesi? Dalla brexit alla pugliexit? Stupidaggini. Colossali stupidaggini. Non solo perché basate su una competizione ed un odio tra regioni che non ha motivo d’essere, ma perché totalmente controproducente per chiunque sia coinvolto. La società umana, da quando esiste il fuoco, è progredita per scambi con popolazioni vicine, scambi culturali, tecnologici, commerciali. Le riletture parziali ed autocommiseratorie di certa letteratura meridionalista revanchista sono come la pizzica: divertenti ma a furia di sentirle in ogni contesto hanno perso ogni attrattiva. Se i pugliesi stanno meglio rispetto a cento anni fa (sì, stanno meglio) lo devono allo sviluppo del nord; se il nord è riuscito ad esplodere economicamente lo deve ai suoi vicini esteri ma anche al mercato interno ed alla domanda di lavoro del Sud; questo vale per quasi ogni regione e parte d’Italia, vale per Venezia come per Palermo, vale per la montagna come per la costa, vale per la pianura padana come per il Tavoliere. Vale in tutto il mondo: arrendetevi, siete circondati dal progresso.


Veniamo quindi alla TAP. Il Trans Adriatic Pipeline è un importante asse di fornitura di gas naturale dall’Arzeibajian attraverso Grecia e Albania per arrivare in Italia e rifornire tanto il nostro paese (come detto, abbiamo sempre bisogno di gas) tanto il resto d’Europa, e che potrà essere alimentato anche da altri paesi. In parallelo, si sta procedendo allo studio di un secondo gasdotto che da Israele, attraverso Cipro, approderebbe a Otranto per unirsi alla medesima infrastruttura terrestre (capacità permettendo). Non è certo una novità: come detto, siamo pieni di gasdotti. Chi paventa esplosioni, pericoli, tragedie imminenti dovrebbe ricordarsi che l’Italia è attraversata in lungo ed in largo da migliaia di km di gasdotti – e la cronaca non mi pare abbia riportato incidenti e tragedie.

Alessandro Pomes, collaboratore Aduc
assegnista di ricerca presso l'università Iuav di Venezia, laureato in scienze ambientali, si occupa di valutazione di impatto ambientale in ambito terrestre e marittimo e di ricerca nel campo dell'impatto delle fonti di energia rinnovabile."