NARDO' (Lecce) - Il testo di riferimento è Le Metamorfosi di Ovidio. Un’opera, questa, sterminata che rappresenta uno dei fondamenti mitopoietici della cultura occidentale. Il poema ovidiano riprende e rielabora, infatti, oltre 250 miti greci e costituisce il primo grandioso tentativo di sistemazione attraverso la scrittura della materia in questione. Al centro del classico ovidiano ancora una volta l’uomo, colto nel suo atto di nascita e colto nel tempo e nello spazio nella sua incessante trasformazione.
Metamorfosi appunto, in cui la dinamicità dell’elemento vitale e la sua spinta creatrice fa e disfa, trasforma e crea continuamente il mondo. Un mondo liminale, rappresentazione dell’eterna dialettica tra ‘divino’ e ‘umano’, costruzione consapevole di un ricco e straordinario caleidoscopio di immagini che nutrono l’immaginario collettivo fin dentro la contemporaneità.
Il nuovo lavoro di Astragali Teatro si avvicina a questo materiale interrogandolo su alcune tra le questioni più delicate del nostro tempo. Prima di tutto, la consapevolezza di un mondo, quello odierno, che dilata e genera in modo sempre più consistente propri confini. In cui la potenzialità di ‘messa in comunicazione’ di aree e ambiti geografici e socio-politici anche lontanissimi è in realtà resa difficile, se non impossibile, dalle pratiche concrete del conflitto e della migrazione, che in questo modo diviene elemento centrale proprio dei conflitti globalizzati. Il paradosso che costantemente si ingenera e si invera è qui colto nella umanissima dinamica di una contemporaneità che, mentre propone la ‘caduta’ delle frontiere come elemento di crescita e sviluppo, dall’altra attua, di fatto, una politica che impedisce e blocca la libera mobilità alla stragrande maggioranza delle persone. Laddove le merci non hanno ostacoli e confini, in forza del mercato mondiale, donne e uomini sono fermati da polizia (se non veri e propri eserciti alle frontiere), carceri, centri di identificazione, check point.
La riflessione artistica coglie nel principio di eterno movimento e mutamento, proprio del poema di Ovidio, una chiave di lettura straordinaria per una interrogazione sul qui ed ora capace di svelare, ancora una volta, tutta la retorica omicida con cui le pratiche della politica e dell’economia globalizzate impediscono quotidianamente la vita di milioni di uomini e donne, sancendo il conflitto come elemento chiave della relazione tra stati e tra popoli.
Di contro, il lavoro teatrale, attraverso il racconto di ‘storie’ umanissime che nello schiudersi all’altro scoprono la propria possibilità nel mondo, mette in scena il desiderio di vita e di incontro dell’uomo.
Uno spettacolo vibrante che articola la propria tessitura vocale e corporea seguendo diverse trame, e dove le lingue madri delle attrici e degli attori divengono ulteriore elemento della pratica e della ricerca scenica.